#Giornate Fai per le Scuole
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lospeakerscorner · 1 year ago
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Giornate FAI per le scuole
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siciliatv · 4 days ago
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Favara, bilancio estremamente positivo positivo per le Giornate Fai per le scuole 2024. Protagonisti dell’evento, che quest'anno si è svolto ad Agrigento e Favara, sono stati gli... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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viunews · 12 days ago
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Giornate FAI per le scuole: giovani guide alla riscoperta del patrimonio culturale
Giornate FAI per le scuole: giovani guide alla riscoperta del patrimonio culturale
Dal 18 al 23 novembre, tornano le “Giornate FAI per le scuole”, un evento che il Fondo per l’Ambiente Italiano dedica agli studenti di tutta Italia. Quest’iniziativa offre la possibilità di riscoprire il patrimonio storico e artistico con una formula originale: gli “apprendisti Ciceroni”, ovvero studenti formati da volontari FAI insieme ai propri docenti, faranno da guide ai coetanei. Questo…
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lamilanomagazine · 8 months ago
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Bologna, terminati i lavori di recupero del Castello Lambertini e la sua torre per un importo di 8,6 milioni di euro
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Bologna, terminati i lavori di recupero del Castello Lambertini e la sua torre per un importo di 8,6 milioni di euro.  Bologna – Torna a svettare nel centro cittadino di Poggio Renatico (Fe) l'antico maniero e la sua torre, distrutti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. Sono terminati i lavori di recupero e consolidamento, con miglioramento sismico, del Castello Lambertini e la ricostruzione della Torre, per un importo complessivo di quasi 8,6 milioni di euro, comprensivi dei costi di costruzione di un nuovo archivio comunale in un'altra zona del comune. L'intervento è stato finanziato dalla Regione con 4,9 milioni di euro, grazie al Programma delle opere pubbliche e dei beni culturali danneggiati. L'antica torre medievale, completamente distrutta dalle scosse, è stata ricostruita in acciaio cor-ten, materiale capace di autorigenerarsi, autoproteggersi e resistente alla corrosione, e ospiterà spazi espositivi. Oggi, alla cerimonia di riapertura, insieme alle autorità religiose e civili e al sindaco di Poggio Renatico, Daniele Garuti, ha partecipato il presidente della Regione Emilia-Romagna e Commissario delegato alla ricostruzione post sisma 2012, Stefano Bonaccini. Sabato 23 e domenica 24 marzo il Castello Lambertini sarà uno dei 52 luoghi che sarà possibile visitare in Emilia-Romagna all'interno dell'edizione 2024 delle Giornate Fai di Primavera. "Riconsegniamo alla cittadinanza un luogo simbolo, fortemente identitario per l'intera comunità- ha commentato Bonaccini-. Un risultato che ci riempie di soddisfazione, frutto del lavoro di squadra condotto insieme alle istituzioni locali e che ben rappresenta la forza delle persone che vivono in questa terra e non si sono mai fermate, rimboccandosi da subito le maniche per rifare tutto quanto era andato distrutto. È un altro ulteriore passo avanti verso la completa ricostruzione del patrimonio storico e culturale così duramente colpito dal terremoto del 2012, la parte più complessa rispetto a quella già praticamente terminata di scuole, case e attività economiche. Dobbiamo essere tutti orgogliosi per i risultati raggiunti insieme, un lavoro enorme che ci permette oggi di avere città più belle e sicure". "È una immensa gioia la riapertura del Castello Lambertini, simbolo della nostra comunità, incastonato in una delle più belle piazze del territorio, interprete della storia bolognese ora in terra ferrarese- ha aggiunto il sindaco Garuti-. L'edificio sarà reso nuovamente fruibile alla cittadinanza con la riscoperta e valorizzazione di antichi affreschi e pitture, del nostro 'imbarcadero' negli spazi seminterrati e la costruzione della nuova Torre. Questo momento, dopo un impegnativo percorso di lavori, connotato da un fruttuoso rapporto con la Soprintendenza e sostenuto dalla Regione, rappresenta un passo molto importante nella direzione di chiudere, materialmente e anche emotivamente, le sofferenze e le fatiche provocate dal terremoto alla nostra comunità civile. Con le radici profondamente ancorate alla storia del paese, l'esito di questi lavori ci proiettano nel futuro. E di questo ne è massima espressione l'innovativa ricostruzione della Torre che, nella sua nuova veste architettonica, racchiude diversi elementi e sentimenti: la consapevolezza del nostro passato, il simbolo delle ferite inferte dal sisma ma, soprattutto, rappresenta il cuore e l'obiettivo della ripartenza". La ricostruzione Per la sua tipologia e la notevole dimensione, il progetto e i lavori sul castello si sono configurati da subito molto complessi: è stato anche realizzato uno studio di carattere archeologico per migliorare la valutazione dei lavori da eseguire in parti come il fossato esterno e i seminterrati interni. L'intero immobile è stato consolidato in tutti i suoi elementi strutturali; oltre al recupero dei sotterranei e il restauro delle pareti decorate, grazie a numerosi saggi stratigrafici è stato possibile valorizzare e riscoprire l'apparato decorativo in parte coperto. Il recupero dell'edificio, sottoposto a vincolo, è stato diviso in due stralci: il primo per un importo totale pari a 7,7 milioni di euro finanziati per 2,5 milioni con fondi assicurativi, 274mila con fondi del Comune e 4,9 milioni con risorse della Regione. Il secondo stralcio, per un importo pari a 865mila euro, è stato finanziato dall'amministrazione con fondi assicurativi per costruire un nuovo edificio che ospiterà l'archivio comunale. Prima del terremoto, il Castello era esclusivamente sede del Municipio, ora diventerà un centro polifunzionale che, oltre al Municipio, ospiterà anche associazioni, aree espositive, una biblioteca, una sala conferenze, il presidio di Polizia municipale e alcuni servizi sanitari. La storia L'antico castello di Poggio Renatico, di fondazione medievale, fu costruito dalla famiglia bolognese dei Guastavillani e nel XV secolo divenne proprietà dei Lambertini. Il castello, come si presentava in passato, non viene mai descritto come un singolo edificio, ma come un complesso che contemplava l'affiancamento del palazzo, della chiesa e di una serie di piccoli edifici o casamenti di pertinenza. Quando la dinastia dei Lambertini si estinse, nel 1822 il castello venne ceduto alla comunità del "Pogio et Uniti" per 4.000 scudi. Verso la fine del secolo al palazzo, che aveva una facciata asimmetrica rispetto alla torre centrale, venne aggiunto un nuovo tratto di otto metri al lato nord: proprio questa parte fu danneggiata dalle alluvioni del 1949 e del 1951 e ricostruita a cura del Comune.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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uds · 5 years ago
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in uno degli ultimi post ho scritto che mia moglie lavora un sacco. adesso vi parlo un po' di cosa fa mia moglie.
mia moglie è un'insegnante di scuola dell'infanzia. quella che una volta si chiamava asilo, per capirci.
lavora in una scuola parrocchiale di paese. i fondi son quello che sono, ma si fanno un paiolo quadro per dare il massimo ai bambini.
lavorare in una scuola dell'infanzia non significa solo fare le proprie ore di insegnamento ai bambini. quella è la parte più visibile, ovviamente. più o meno dalle otto e mezzo alle quattro hai un paio di decine di alunni, tutti in quella fascia d'età in cui la manopola del volume della voce è perennemente puntata sul massimo, e l'attività didattica di quelle ore non è assolutamente improvvisata, ma è -come ovvio- preparata e seguita a norma di legge.
ci sono i programmi da seguire. le indicazioni psicopedagogiche. i consigli. le riunioni di programmazione. gli incontri e i rapporti con le famiglie. la preparazione delle presentazioni a pc per i genitori. le valutazioni. il rapporto con i servizi sociali per eventuali certificazioni di alunni con difficoltà. i progetti di inglese, di pregrafismo, di religione, di musica. i progetti annuali su cui improntare gli insegnamenti. bisogna scrivere e preparare recite o eventi. studiare e preparare le lezioni aperte, a cui partecipano anche i genitori perché siano edotti delle varie attività dei loro figli. ci si interfaccia con le scuole primarie per lezioni e giornate assieme. ci sono i corsi di aggiornamento, spesso sono di sabato, spesso sono a sessanta chilometri da casa. ci sono i murales a tema da preparare per i bambini. ci sono le attività divise per classe e per età. c'è tutto il resto. che non si riesca fare tutto a scuola mi pare piuttosto palese.
e ogni cosa è fatta con un amore infinito per i bambini (e col magone a ogni piccoletta e piccoletto che alla fine dei tre anni esce dalla scuola per andare alla primaria), in modo che per loro non sia una noia assoluta, ma che siano divertiti, seguiti e stimolati, e che tutto ciò sia trasmesso anche ai genitori (che devono vedere i loro figli cresciuti scolasticamente nel modo migliore, fosse anche solo per quelli che - siamo pur sempre in veneto- ragionano col pago & pretendo).
non ho idea di come funzioni in una scuola dell'infanzia statale, se gli orari siano più leggeri e gli stipendi siano più alti, posso parlare solo della mia esperienza.
e la mia esperienza è di vedere mia moglie che, spesso, a sera tarda è ancora su un power point, dopo non aver praticamente mai staccato, o che prepara armata di forbici e colla a caldo il materiale per la prossima lezione. dimenticando lo stress e la stanchezza.
ha studiato per quello, si è laureata per quello, lo fa ogni giorno come una vocazione, nonostante i momenti storti che capitano in ogni mestiere.
e, nonostante tutto, deve anche trattenersi quando qualcuno dice che alla fine quel lavoro è tutto babysitteraggio, gli fai colorare due fogli e via, prendono anche troppo per quello che fanno.
perché è sempre difficile capire che non è una gara a chi è migliore, e che a volte, quando non si sa, si potrebbe anche evitare.
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v4l3 · 5 years ago
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Siamo forse finalmente arrivati al punto in cui parlo della didattica a distanza. Qui le scuole sono chiuse dal 24 febbraio, quindi ormai da ben più di un mese. La prima settimana, quella di carnevale, era già prevista “corta”, di fatto nei tre giorni di frequenza i prof avrebbero finito il giro di interrogazioni e assegnato i compiti per i due giorni di chiusura, ovviamente non hanno interrogato, il prof di lettere ha iniziato ad utilizzare una piattaforma in cui caricare le sue lezioni pre-registrate, test e tracce di esercitazioni. Nel giro di tre giorni anche la prof di matematica lo seguiva. La settimana successiva (settimana 2 di chiusura), venivano raggiunti dalla prof di inglese, poi a seguire da tutti gli altri. Ognuno di loro caricava videolezioni registrate, alcune molto “frontali”, altre molto meno (nonostante l’ostacolo della distanza e della fruizione tramite schermo), per esempio la prof di scienze ha fatto una bellissima lezione sulle piante girando per il suo giardino. Tutti loro hanno, sin dall’inizio, cercato di coinvolegere i ragazzini chattandoci, facendo dirette a 2/3 per volta, istituendo contest sulla quantità di piante e animali presenti in casa (”fotografa il pavimento! è pieno di batteri! sai quanti sono??”), chiedendogli di sperimentare e interagire, organizzando mostre di arte in virtuale, lavoro di coding in gruppi e via dicendo. Dalla settimana numero 3 hanno iniziato con le lezioni in diretta, incluse interrogazioni e via dicendo. A oggi l’unico prof che non fa lezioni in diretta è quello di religione, che si tiene in contatto via mail coi singoli ragazzini. Tutti gli altri scrivono mail, fanno lezioni in diretta, registrano video, rispondono in chat, scherzano, li coinvolgono e insegnano. Insegnano esattamente come se li avessero lì davanti, scherzando, riprendendoli, e facendo battute sceme. La preside ogni tanto passa in “aula” a salutare. I lavori su più materie vedono coinvolti contemporaneamente entrambi i docenti interessati.  Cosa ho notato: mio figlio quando è lasciato da solo, senza il mio controllo, si perde un po’ via all’inizio, ma poi arriva al punto e porta a casa il risultato. Non so come, il suo inglese è migliorato. Non so come, il mio spagnolo (che non so) è migliorato (”mamma mi spieghi?” No comment). E questo è il mio personalissimo punto di vista e la mia esperienza.
E PERO’ (scritto grosso)
La seconda settimana figlio era col padre (prima che impedissero del tutto gli spostamenti) e non ha concluso un cazzo: connessione traballante, nessuno che se lo cagasse, zero capacità di correzione compiti e (senza voler essere troppo stronza, giuro che è un parere oggettivo) una buona dose di menefreghismo. Quindi, se lui, che è un ragazzino tutto sommato fortunato e intelligente, ha dovuto poi mettersi sotto per recuperare 4 giorni di menefreghismo dell’adulto, come può cavarsela un ragazzino che magari deve dividersi il pc con altri due fratelli? un ragazzino con entrambi i genitori che lavorano e magari non da casa? un ragazzino con una connessione internet peggiore dela mia? un ragazzino che banalmente ha i genitori che non sono in grado di aiutarlo con epica o con inglese (come succede a me con spagnolo, ma io ho un debole per gli spagnoli in vacanza in sardegna, quindi tutto sommato qualcosa capisco)? Insomma, fighissima, funziona benissimo ma: 1- non per tutti, e vuoi che sia una questione economica, di voglia, di competenze di partenza, di quello che vuoi, il fatto è che qualcuno rimane fuori, e qualcuno rimane fuori in qualsiasi ambito (qualcuno è rimasto fuori anche nella scuola di mio figlio, che è comunque una di quelle chiccosine) 2- non da tutti, so per certo (e gliene sono grata) che mio figlio ha trovato dei prof che amano quello che fanno, che ci tengono a coinvolgerlo. Non so dire se dipende dai singoli insegnanti o dalla dirigenza scolastica. Le direttive del MIUR sono le stesse per ogni scuola, quindi la differenza chi la fa? la singola scuola? il singolo insegnante? Non dovrebbe esserci differenza (e questo è un discorso che va ben oltre la differenza tra pubblico e privato, ci sono pubbliche che stanno funzionando e private che si limitano a “leggi da pagina a pagina e fai gli esercizi, no, non mandarmeli, non serve che te li corregga”) 3- in ogni caso senza nessun supporto statale, non tutti sono a casa dal lavoro e lo stato ha sì previsto dei congedi per chi ha figli con meno di 12 anni (quindi alle elementari), ma sono congedi che in ogni caso non copriranno l’intero periodo di chiusura delle scuole. Io per esempio lavoro, non sempre posso lavorare da casa, non mi spetta alcun congedo perchè mio figlio gli anni li ha fatti a febbraio. E però attenzione, ricordiamoci che il 591 del codice penale mi dice che non posso lasciarlo a casa da solo. Come la mettiamo?
Tutto questo per dire niente, come mio solito. 
Però grazie ai prof e alla scuola, grazie a mio figlio che in tutte le giornate che è rimasto a casa da solo non ha bruciato o fatto esplodere casa (per ora) e mi ha chiamato solo una volta (e solo perchè gli serviva assistenza IT), e grazie a me, che stavolta lo dico chiaro e tondo, mi sto facendo un gran culo e se ne esco viva e sana di mente mi merito un premio.
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pathemata-mathemata · 5 years ago
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Un po' di noi
Ti ho visto la prima volta una sera di giugno, faceva caldo e in paese si festeggiava il patrono. Ricordo che ero seduta su di una sedia bianca a bordo campo mentre guardavo le mie amiche ballare i balli di gruppo in mezzo alla pista. Ad un certo punto mi sono voltata e ti ho visto, serio e orgoglioso, camminavi avanti e indietro con le mani dietro la schiena per darti l'aria importante, ma lo sguardo lo avevi perso chissà dove, come i pensieri. Ho pensato fossi interessante ma che con te non avrei mai avuto nessuna possibilità, infondo io non sono il tipo che attacca bottone. Ti ho cercato con lo sguardo un altro paio di volte prima di alzarmi e andarmene a casa, perché la serata non era poi così divertente ed io avevo appena litigato con il mio ragazzo. Non pensavo ti avrei più rivisto e, forse, nemmeno me ne importava tanto, eri uno sconosciuto che mi aveva colpito, così come a volte capita che un passante ti possa suscitare un certo interesse con uno sguardo ma non ti azzarderesti mai ad avvicinarti. Ammetto di non averti nemmeno riconosciuto quando, mesi dopo, ti ho visto presentarti alla platea al teatro.
- Mi chiamo Marco -
Questo è tutto quello che hai detto, poi sei andato a sederti in seconda o terza fila e hai ascoltato distrattamente la lezione. Anche allora ho pensato fossi qualcosa di straordinario senza rendermi conto che già ti avevo visto. Mi ci è voluto un bel po' di tempo e la fine della mia relazione prima di ricordare dove avessi incontrato in precedenza quello sguardo serio e orgoglioso, ma allora ero già innamorata di te e non volevo ammetterlo. Se mi chiedessero quando ho cominciato a provare tutto questo risponderei che non ne ho la più pallida idea. Forse è il modo che hai sempre avuto di preoccuparti per me che mi ha trascinato nel vortice, come quella sera di gennaio in cui io non facevo altro che tossire e tu mi lanciavi qualche sguardo preoccupato fino a che ti sei fatto vicino.
- Stai bene? -
- Sì, è solo un po' di tosse e raffreddore, o forse mi sto ammalando -
- Si vede che non stai bene, ora vai a casa, ti fai un tè caldo e ti metti a letto. Non uscire per nessun motivo -
Ho pensato sembrassi mia madre in quel momento ma ho evitato di dirtelo.
- Va bene -
- Non sai quanto ti invidio, tu adesso andrai a dormire, a me tocca stare in discoteca a fare servizio fino alle cinque di mattina -
- Lo hai scelto tu -
- Lo so, ma potrei romperti le scatole e scriverti qualche messaggio così tengo sveglia anche te -
- Spengo il telefono la notte -
Non so perché ti abbia detto una cosa simile, forse perché ero nervosa per via del tuo interesse. Ogni volta che mi dicevi qualcosa di carino scappavo via come se tu avessi potuto bruciarmi con una parola. Mi spiace, non sono mai stata brava a relazionarmi con la gente, ecco perché me ne sto sempre in disparte e preferisco confondermi con la parete, e tu lo vedevi e ogni volta venivi a riprendermi e mi trascinavi di nuovo tra i vivi. Solo quando mi eri accanto capivo di respirare sul serio. Solo quando mi guardavi tu capivo di esistere davvero. E non te l'ho mai detto. Per questo ti ho perso, per le cose non dette e le cose non fatte. Come quel giorno in cui ho scoperto che uscivi con Sara. È stato come un proiettile che ti colpisce a sorpresa perché non avevi notato nessuno puntarti addosso una pistola. Credevo che non ti meritasse ma non sarei mai venuta a dirtelo, perché infondo quella che credeva di non meritarti ero io.
Per parecchio tempo mi sono chiesta cosa mai potesse trovare in me uno come te, siamo agli antipodi, siamo opposti, anche se col tempo ho imparato che ci sono dei punti in comune.
La vita continuava, nel frattempo, tra le giornate a scuole e il cielo coperto di nuvole. Mi ripetevo che non mi servivi tu per stare bene e che se con lei eri felice allora ok, ti avrei dimenticato. Ma tu non me lo permettevi. Non capivo a che gioco giocassi, come quel sabato sera in cui ti sei presentato all'improvviso cogliendo tutti di sorpresa.
- Cosa ci fai qua? -
- Ho visto sul programma dei turni che c'eri tu e ho pensato di passare a fare un giro. Ho portato anche il gelato -
Io tentavo di starti lontano, ma piano piano mi sono ritrovata accanto a te. Dicevi che dovevi scappare perché il tuo amico dava una festa nel suo locale, ma ti sei fermato per più di un'ora e poi mi sei mancato per tutta la notte.
Il nostro rapporto diventava sempre più ambiguo, sapevo che ti vedevi ancora con Sara, perciò me ne restavo in disparte, ma tu ti facevi sempre più vicino, ti facevi mettere in gruppo con me e mi trattavi da principessa. Io tentavo di nascondere il mio interesse e dissimulare il tuo, ma la gente col passare del tempo ha cominciato a captare i segnali e hanno iniziato a fare il tifo per noi. Bastava che ci scambiassimo uno sguardo e per loro sembrava la fine del mondo. Eravamo belli da morire, tu per la tua sicurezza ed io per la mia timidezza. Un giorno ridendo e scherzando mi hai detto di passare alla festa del patrono così avremmo potuto bere qualcosa insieme. E così, dopo un anno esatto da quando ti avevo visto la prima volta, ci ritrovammo io e te al bancone del bar a chiacchierare della maturità che avrei affrontato da lì a qualche giorno. Odio ammetterlo ma il giorno dell'esame orale ti avrei voluto fuori dalla porta ad aspettarmi. Invece non c'eri. Non ci saresti più stato, a dir la verità. È stato l'inizio del declino che mi ha portato, al termine dell'estate, a scoprire la tua relazione con Mara, una ragazza conosciuta in palestra.
Ti ho odiato. Ti ho odiato davvero tanto, perché mi sentivo presa in giro, usata, trattata come se avessi dovuto essere la tua ennesima conquista, un numero. E ho odiato me, perché ci avevo creduto, perché mi ero lasciata ingannare dai tuoi occhi castani e le belle parole. Mi sono odiata perché non riuscivo a trattenere le lacrime, perché avevo gli occhi stanchi e i capelli in disordine, perché uscivo con gli amici e ti cercavo tra la gente, anche in quei posti dove sapevo non avresti mai potuto esserci.
- Non sei più tu -
Gli amici me lo ripetevano spesso, ed era vero. Non ero più io, perché quella piccola luce che avevo negli occhi era scomparsa e sapevo non sarebbe più tornata.
Verso la fine di settembre sei andato a Copenaghen con lei, il primo di tanti altri viaggi che avreste fatto insieme. Mi avevi detto che saresti tornato il lunedì, invece il lunedì mattina ti sei presentato d'improvviso durante il mio turno con la colazione. Non riuscivo a guardarti, scappavo sulla terrazza e speravo te ne andassi il più presto possibile, perché non sopportavo la tua presenza, non dopo che eri stato per giorni con lei. Forse avevi capito il mio disagio perché non tentasti nulla per cambiare il mio atteggiamento.
Il tempo passava sempre di più ed io e te ci vedevamo sempre di meno, poi una sera ci siamo beccati quasi per caso, dico quasi perché io ci speravo. Mi hai abbracciata così intensamente che credevo di scomparire.
- Sei la mia principessa -
Me l'hai ripetuto più volte, ed io ci credevo, ho sempre creduto alle tue parole, alle tue bugie. Quella sera abbiamo anche litigato, tanto che te ne sei andato nell'altra stanza per un po', poi sei ricomparso.
- Visto che sono tornato? -
- Sì -
- L'ho fatto solo per te -
Ci ho provato a dimenticarti, ci ho provato davvero. Negli anni a venire sono uscita con molti ragazzi, molti dei quali avrebbero fatto di tutto per me, ma io non riuscivo ad innamorarmi di nessuno di loro. Loro non erano te. Era impossibile andare avanti così ma non potevo fare altro. La tua relazione andava a gonfie vele, ormai riuscivi anche a parlare di lei in mia presenza, non ti nascondevi più, mentre io ancora nascondevo la ferita che avevi provocato. Tentavo di colmare il vuoto con qualunque cosa, avevo anche riniziato a fumare. Tu ogni tanto venivi a sapere di qualche mia storia e in quei momenti non mi parlavi, mi evitavi, fingevi che non ti interessasse ma poi ti arrabbiavi con me per cose di poco conto.
Un giorno che stavamo chiacchierando mi hai detto che saresti partito per Lisbona la settimana dopo.
- Guarda che voglio una cartolina eh -
- Ok -
La mia era stata una battuta, ma qualche settimana più tardi, mentre fuori infuriava un temporale estivo, ti sei fatto più vicino e in mano avevi qualcosa.
- Ti ho portato un segnalibro perché della cartolina non te ne saresti fatta nulla, il segnalibro invece lo puoi usare sempre, so che leggi tanto -
Non sapevo che dire. Mi avevi lasciato senza parole. Inutile dirti che dopo anni quello è l'unico segnalibro che continuo ad usare, mi accompagna in ogni viaggio e i miei amici quando se ne accorgono sorridono e non dicono nulla, perché sai non gli parlo più di te, a volte capiti in qualche discorso ma sei solo di passaggio. Ho vissuto momenti belli e momenti brutti senza che tu ne sapessi nulla, ho iniziato e troncato relazioni senza dirti niente, mi ripetevo che stavo andando avanti con la mia vita, ma ogni volta che ti vedevo, anche per poco, mi sembrava di tornare al punto di partenza, crollavo di nuovo e finivi per mancarmi più di prima. Un giorno stavamo parlando del più e del meno, per me era un momento orrendo della mia vita, tutto sembrava andare male, ed ecco l'ennesimo colpo.
- Perché non mi hai detto che andrai a convivere? -
Serena te lo ha detto così, con semplicità, come fosse la cosa più scontata del mondo. Tu sei rimasto in silenzio per un po', non sapevi cosa dire, sei sbiancato e hai cambiato discorso. Io, beh io, ho sentito il pavimento crollare e risucchiarmi, un altro colpo al cuore, un altro proiettile inaspettato da una pistola invisibile. Hai tentato di rimediare tutta sera.
- Andiamo a bere qualcosa dopo? -
- Certo -
Certo, ma alla fine non ce l'ho fatta, non ho retto il colpo, sono tornata a casa e ho pianto come non piangevo da tempo. Ero di nuovo svuotata. Sapevo già di averti perso ma quella è stata la prova definitiva. Non serviva che mi dicessi quanto fossi felice, lo sapevo da me anche se non volevo ammetterlo.
Ci sono stati tanti momenti in cui avrei voluto baciarti e non l'ho mai fatto, era come se ci fosse una linea rossa invalicabile che non mi permetteva di avvicinarmi a te.
Ne abbiamo passate tante, e tanto ti devo. E anche ora che sono passati anni non riesco del tutto a staccarmi da te. Ti voglio bene e questo lo sai, ma che ti amo non lo saprai mai. Non ho mai lottato per te e mi dispiace, ti ho lasciato tra le braccia di una ragazza che ti merita più di me. Passare una vita a cercare di averti e non averti mai. Una storia con un solo punto debole: io. Avrebbe tutto potuto essere diverso, ma la vita non ha voluto. Ora, mentre guarderai l'aurora boreale abbracciato all'amore della tua vita, vorrei che tra quei paesaggi ricordassi un po' i miei occhi verdi.
(So che lui non leggerà mai queste parole, ma io avevo bisogno di scriverle. I nomi sono inventati, la storia è vera)
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pangeanews · 5 years ago
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L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino
Alle nove di sera, l’operaia Elisa, tornando a casa dal lavoro dopo un lungo viaggio in tram da parte a parte di Milano, annunciò al marito: “La sai la novità? Da domani si sta a casa tutto il giorno!”.
Italo Mazzoni, turnista di notte, raggiunto da una notizia così incredibile mentre stava indossando il giaccone impermeabile per andare in fabbrica, mormorò, con gli occhi ancora spenti e appannati di sonno: “Ti hanno licenziata?”.
“Ma no! È a causa del virus che sta infettando mezza Italia. Il padrone non ha sanificato gli ambienti ed è stato denunciato e costretto a chiudere la fabbrica”.
“La fabbrica! Dio, ho fatto tardi?” urlò Italo, e come un automa si allontanò senza neppure guardarla, con in mano le chiavi della macchina e l’immancabile pacchetto di sigarette.
Elisa ebbe un attimo, appena un attimo di smarrimento nell’accorgersi che lui non l’aveva ascoltata, ma poi gli corse dietro e lo raggiunse sulle scale. Disse: “Amore, non hai capito. La fabbrica rimarrà chiusa per un mese”.
Allora Italo, improvvisamente scosso dal suo ipnotico torpore, intuì che qualcosa di grosso era accaduto. Un disastro o un evento fortunato? Prima che potesse iniziare a darsi una risposta, la sua attenzione si concentrò sulle mani di lei, sporche di cioccolata.
“Ma cosa hai fatto?”.
“Sono stata al centro commerciale, ho preso due dolci. Uno anche per te”.
Infilò una mano nella borsa e tirò fuori una ciambella al cioccolato. Disse: “Volevo festeggiare. Mi vergogno un poco perché fuori la gente sta morendo e il rimedio contro questo maledetto virus non l’ha ancora trovato nessuno. Ma finalmente avremo tempo per stare insieme. Sei contento?”.
Italo allargò le braccia in un gesto che manifestava tutta la sua sorpresa. Disse: “Non dovrò più andare in fabbrica di notte? E neanche tu, di giorno?”.
“Esatto. La produzione è stata bloccata. Siamo in cassa integrazione fino a nuove disposizioni del Governo. E a me sta bene”.
“Dormiremo insieme?”.
“Dalla sera alla mattina”.
Si strinsero forte e pensarono le stesse cose: niente più caffè presi al volo, niente incontri fugaci sulla porta di casa, niente corse nella nebbia, niente grane sul lavoro.
Erano trascorsi quattro mesi da quando il coronavirus aveva fatto la sua comparsa in città, dando il via a quella che nel giro di poche settimane sarebbe diventata un’epidemia diffusa. Nelle famiglie obbligate a rimanere in casa, il bollettino dei morti era diventato un argomento di conversazione perfino più ricorrente della crisi economica. Per evitare l’ulteriore diffondersi del virus, il Governo aveva reagito con misure draconiane, chiudendo scuole, negozi, ristoranti e ora anche quelle fabbriche dove gli operai erano costretti a lavorare gomito a gomito. Ai cittadini era stato ordinato di limitare i contatti sociali.
Stando tutti e due a casa, Elisa e Italo avrebbero finalmente vissuto la vita da sposini che il lavoro gli aveva sempre negato: andare a letto insieme, nudi e un po’ eccitati, scambiarsi qualche parola oscena e poi fare l’amore ogni sera, con la stessa emozionante e convulsa serialità.
Vivevano a Sesto, periferia industriale di Milano, in un monolocale di 40 metri quadri. Il cucinino era umido e buio, il bagno aveva la finestra a tetto, ma Elisa diceva di essere innamorata di quel posto perché gli ricordava Un amore in soffitta, un telefilm che guardava da ragazza.
Italo invece amava l’agricoltura, e se avesse avuto una casa in campagna e un fazzoletto di terra da coltivare non si sarebbe fatto pesare qualche ora di auto in più per raggiungere la fabbrica. Tuttavia, per non mettere in difficoltà sua moglie, che era stata bocciata alla scuola guida un numero impressionante di volte, si era adattato a quello spazio angusto che gli dava ansia.
Ormai erano sposati da sette anni ma non avevano mai vissuto insieme per più di qualche ora al giorno. La chiusura della fabbrica li proiettava in un territorio sconosciuto, una convivenza vera che non li spaventava, poiché volevano viverla con tutto l’amore che erano stati a lungo costretti a reprimere.
La prima notte insieme fu meravigliosa. Senza bisogno di parole, riuscirono a darsi esattamente ciò che volevano: una brama di interezza mai provata, una passione incandescente, tanta pace.
La notte successiva ci fu un piccolo imprevisto. Elisa si accorse che Italo russava. Non era cosa da poco, perché la costringeva a prendere sonno con un concerto di tromboni nelle orecchie.
Questa piccola scoperta la turbò, come una nuvola nera apparsa in un giorno di sole.
Lui dal canto suo, era abituato a dormire da solo nel letto a due piazze, e aveva molta difficoltà a condividere il materasso. Ripensava con nostalgia a quando si coricava e, dopo qualche minuto, piano piano si spostava dalla parte di Elisa, assorbendone l’assenza e il tepore. E così s’addormentava.
Ora invece, se provava a uscire dal suo confine, veniva ricacciato indietro con parole di fuoco: “Italo, non riesci a stare fermo? Ogni volta che sto quasi per dormire, sento che mi tocchi una gamba e perdo il sonno!”.
Poi a Elisa sembrò che suo marito avesse l’alito pesante. Fu indecisa se dirglielo, per paura che lui la prendesse male, ma poiché quel difettuccio non passava, dopo quattro notti nelle quali ebbe l’impressione di dormire con un ubriaco che si era bevuto un cocktail di superalcolici e aglio, si fece coraggio e gli suggerì di lavarsi i denti prima di mettersi a letto.
Ma lui si offese e ribatté: “Ieri notte ti è scappato un peto”.
“Non è vero!”.
“Sì, è così. Avrei voluto aprire la finestra ma ho preferito non svegliarti per non essere insultato”.
“Quando ci vedevamo poco, l’amore c’era”, disse lei, in tono amareggiato.
Lui annuì: “Ora le cose dovrebbero andare meglio, e invece è il contrario”.
Si tennero il muso per ore, ma la sera, passando in rassegna gli inconvenienti che erano accaduti, pensarono che in fondo si era trattato di piccoli malintesi, equivoci senza importanza.
Convennero che anche nella persona che amiamo di più al mondo può esserci qualcosa che non ci piace ma che non deve mandarci il sangue alla testa in un secondo. Bisogna comprendere e pensare al buono. Così la rabbia finisce lì, senza emozioni distruttive.
Si promisero pazienza, ma non servì.
Da quando faceva i turni di notte, a causa delle alterazioni del ciclo sonno-veglia, Italo era ingrassato ― ormai sfiorava i cento chili ― e dopo una piccola corsetta il cuore gli batteva all’impazzata. Come se non bastasse, aveva sviluppato un’ipertrofia prostatica che lo faceva correre al bagno appena sentiva lo stimolo. Se dentro c’era Elisa, gli montava il nervoso e cominciava a dare pugni alla porta.
“Amore, mi scappa! Lo sai che sto male! Non posso fare la pipì sul pavimento, fammi entrare! Se non mi fai entrare, spacco tutto!” gridava, come un bambino capriccioso.
Elisa era furiosa. Tra i mille oltraggi cui non amava sottoporsi, il peggiore era trovarsi sulla tazza del cesso con un pazzo che le chiedeva di fare in fretta. Ma anche Italo aveva le sue ragioni: la vescica che scoppiava non era il suo unico problema. L’abitudine a riempire le giornate con il lavoro era così consolidata che, dovendo restare chiuso in casa, si sentiva morire di noia e, per quanto odiasse la fabbrica, la preferiva a una stanza in cui camminare avanti e indietro come una belva in gabbia.
Di giorno non aveva sonno e non sapeva che fare. Accendeva la tv e si innervosiva nel vedere che tutte le trasmissioni parlavano del coronavirus. Metteva qualcosa a cuocere e la dimenticava sul fuoco. Sfaccendava, creando un gran disordine. Accendeva la stufa anche se non faceva freddo. Elisa cominciò a temere che prima o poi l’avrebbe visto impazzire.
E infatti una sera, alle nove e tre quarti, Italo prese il portavivande, il termos, si mise l’impermeabile e uscì.
“Dove vai?” chiese lei. “A quest’ora i supermercati sono chiusi. C’è il coprifuoco”.
“Vado in fabbrica”.
Elisa capì che la vita a volte offre dei regali. Era stanca di litigare. Proprio stanca. Perciò non provò a fermarlo. Disse solamente: “Aspetta, prendi la mascherina”.
E lo salutò con un bacio.
Italo corse giù velocemente, in modo macchinale, infrenabile, ma non riuscì a dare un passo fuori dal portone perché un militare armato di mitra gli fece cenno di tornare indietro.
Scoraggiato, rimase per un tempo incalcolabile seduto sulle scale, con la mente perduta in una zona d’ombra tra l’alienazione e la fuga. Poi gli venne sonno e si addormentò.
Anche Elisa, rimasta sola, spense la luce e andò a letto.
Accucciata sotto le coperte, nel silenzio riconquistato, allungò un braccio verso il cuscino di suo marito e lo portò verso di sé.
Meditò su quell’amore che aveva bisogno di non essere mai del tutto con lei.
Sentì il veleno della nostalgia, doloroso e incurabile, dentro al petto.
Francesco Consiglio
L'articolo L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino proviene da Pangea.
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shiningracee · 5 years ago
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Sono 12 anni che non ci vediamo e che non ci sentiamo. Stanotte ti ho sognato e mi sono resa conto che è la prima volta che mi capita. Chissà come è proseguita la tua vita. Chissà come sono stati quegli anni infernali delle scuole medie. Chissà come è andato il liceo. Chissà come è stato il tuo primo amore. Chissà come hai preso l'arrivo di una sorellina, tu che ti vantavi sempre di essere figlia unica. Chissà se sei riuscita a dimagrire. Chissà se hai ancora l'apparecchio o ora indossi gli occhiali. Chissà se hai trovato lavoro. Chissà se hai viaggiato e sognato. Chissà se hai preso la patente. Chissà che film e serie hai visto. Chissà chi è il tuo cantante preferito e quale libro non ti stancheresti mai di leggere. Chissà se sai cucinare. Chissà se preferisci il dolce o il salato. Chissà se preferisci il mare o la montagna. Chissà se di notte alzi gli occhi al cielo per vedere la luna. Chissà a chi racconti le tue paure e cosa fai per schiacciare gli incubi. Chissà se ti capita pure a te di pensare troppo e non dormire la notte. Chissà con chi festeggi le tue vittorie e chi ti sostiene per ogni tua scelta. Chissà come passi le giornate. Chissà perché hai scelto di isolarti dal mondo. Chissà se ti è capitato mai di pensarmi. Ti ricordi di me? Eravamo talmente inseparabili che i professori ci scambiavano sempre. E ti ricordi che condividevamo qualsiasi cosa? Che nonostante fossimo ancora piccole passevamo insieme tutti i pomeriggi? Ti ricordi quando giocavamo alle Winx e a Doremì? O quando mi facevi terrorizzare con le storie assurde che mi raccontavi? Chissà se non ci fossimo perse di vista come sarebbero state le nostre vite oggi. Chissà se prima o poi ci rincontreremo.
A Vanessa,
la mia prima amica.
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verawintersautrice · 2 years ago
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#internationaldotday Fermi fermi fermi, non sta per arrivare una noiosa spiegazione di grammatica! Restate con me xD La #giornatainternazionale del punto arrivata dopo la pubblicazione del libro illustrato “The Dot” di Peter H. Reynolds, un romanzo per bambini, ma anche per i più grandi, che parla di come la creatività e la fantasia devono sempre essere incoraggiate. Questo messaggio viene veicolato attraverso la storia di una bambina che proprio grazie ad un semplice #punto lasciato su di un foglio bianco, scopre la passione per il disegno, la pittura e il colore. Questo cita la quarta di copertina: ... "Fai un punto, un semplice punto e poi guarda dove ti conduce". Vashti dice di non saper disegnare. La sua maestra invece non la pensa così. Lei sa che c'è un impulso creativo in ognuno di noi, e dove c'è un punto c'è un inizio... Con la pubblicazione di questa storia è nata ben presto l'iniziativa di una giornata dedicata ai temi di questo libro, ovvero il coraggio di trovare il modo di esprimere se stessi, la perseveranza nell'inseguire i propri sogni, e l'importanza di spronare i bambini ad esplorare il mondo che li circonda. Molti insegnanti dunque in questa giornata, propongono ai loro alunni riflessioni, giochi e attività basate proprio sull'opera. Questa iniziativa si è diffusa in tutto il mondo e pare che chiunque possa prendere parte alle celebrazioni, in quanto dovrebbe esserci un sito internet dedicato alla giornata, su cui è appunto possibile registrarsi e condividere le proprie idee. Purtroppo non ho avuto modo di controllare quest'ultima informazione, sono settimane un po' di fuoco per me, ma in ogni caso mi sembra proprio un'idea interessante, e vorrei che fosse portata in tutte le scuole. Oggi come oggi, anzi oggi più che mai, credo abbiamo bisogno di molte più giornate così. Voi cosa ne pensate invece? Ah ovviamente se qualcuno trova il sito potete mettere il link nei commenti 💙 Vi aspetto in ogni caso per parlare di sogni e creatività! #arte #libriperbambini #insegnamento (at School time) https://www.instagram.com/p/CihKy_2MlK9/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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lospeakerscorner · 3 years ago
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Comete, giovani giornaliste crescono
Comete, giovani giornaliste crescono
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siciliatv · 7 days ago
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Giornate Fai per le scuole. Un "fiume" di studenti invade Agrigento e Favara Buona la prima!... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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fedelando · 3 years ago
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GIORNATE FAI D’AUTUNNO: APERTURA STRAORDINARIA NEL CASERTANO DEL SACRARIO MILITARE DELL’AERONAUTICA MILITARE
16 e 17 Ottobre torna il weekend del FAI dedicato ai tesori nascosti d’Italia
Caserta, 14 Ottobre 2021 _ Tornano nei giorni 16 e 17 Ottobre 2021, le Giornate FAI di Autunno, iniziativa culturale - giunta ormai alla decima edizione - che tende a valorizzare il patrimonio artistico italiano con l’obiettivo di riscoprire il nostro paese attraverso occhi nuovi e prospettive insolite.
Protagonisti di questa edizione saranno i siti del Ministero della Difesa e delle Forze Armate, 42 in tutto lo stivale, luoghi di notevole importanza storica ed istituzionale, che accoglieranno i visitatori in occasione del centenario della traslazione della salma del Milite Ignoto al fine di celebrare in senso ampio i luoghi simbolo della Grande Guerra.
Si tratta di un’opportunità per quanti vogliano approfondire e conoscere i luoghi e le strutture che la Difesa custodisce con la responsabilità derivante dall’intrinseco valore storico e culturale che essi hanno per l’intera comunità.
Grazie dunque alla collaborazione tra Ministero della Difesa ed il Fondo Ambiente Italiano, a Caserta, dalle 10.00 alle 17.00, potrà essere visitato, previa prenotazione on-line sul sito della FAI, il Sacrario ai Caduti dell’Aeronautica Militare, posizionato all’ingresso dei Giardini della Flora a pochi passi dall’entrata del Palazzo Reale della Reggia di Caserta. L’ingresso allo storico monumento sarà consentito previa esibizione di un documento d’identità e della certificazione verde COVID- 19, “green pass”. L’apertura straordinaria sarà possibile grazie al prezioso contributo degli studenti del Liceo Statale A. Manzoni di Caserta, nella veste di narratori, che, in collaborazione con il personale della Scuola Specialisti dell’Aeronautica Militare, renderanno concreta a turisti e cittadini la possibilità di visitare un luogo storico del capoluogo campano.
La chiesetta di forma circolare, costruita in un angolo del perimetro della “Flora”, è un’opera storica della Città di Caserta, progettata, molto probabilmente, all’inizio del 1800 da Carlo Vanvitelli su richiesta del re Ferdinando I di Borbone e dedicata inizialmente alla Madonna del Carmine fino al 1836 quando l’edificio venne successivamente consacrato a Santa Filomena.
E’ solo nel 1959 che la costruzione neoclassica, diventata luogo di rara frequentazione religiosa, venne affidata all’Associazione nazionale famiglie e caduti e mutilati dell’Aeronautica Militare (ANFCMA).
Nel mese di giugno 2020, subito dopo il primo lockdown per contrastare la pandemia mondiale da Covid 19, il personale della Scuola Specialisti A.M. ha curato i lavori di restauro degli intonaci della facciata del Sacrario apponendo, una volta completati gli stessi, una targa esplicativa del sito al fine di contribuire alla sua valorizzazione.
La Scuola Specialisti è un Istituto militare di istruzione per le attività di formazione basica iniziale, formazione tecnica specialistica, addestramento, aggiornamento, specializzazione, qualificazione e riconversione del personale dell’Aeronautica Militare, delle Altre Forze Armate, Corpi Armati e non dello Stato, nonché di personale di Forze Armate estere. Dipende dal Comando delle Scuole/3^ Regione Aerea con sede a Bari.
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lamilanomagazine · 8 months ago
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Cultura e Paesaggio. Giornate Fai di Primavera, in Emilia-Romagna 52 luoghi aperti al pubblico sabato 23 e domenica 24 marzo
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Cultura e Paesaggio. Giornate Fai di Primavera, in Emilia-Romagna 52 luoghi aperti al pubblico sabato 23 e domenica 24 marzo.  E quest'anno anche la Regione apre le porte: sarà possibile visitare gli spazi in viale Aldo Moro 50, a Bologna, sede dell'Assemblea legislativa. La presidente Petitti: "E' per noi motivo di grande soddisfazione e ci spinge a continuare a lavorare all'insegna dell'arte e della bellezza" L'eremo di San Espedito a Badagnano, nel piacentino, e la Commenda dei cavalieri Gerosolimitani, a Faenza. E poi l'antica farmacia di San Filippo Neri e il suo archivio, a Parma, e la biblioteca Maldotti a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia. Sono solo alcuni dei 52 luoghi che sarà possibile visitare in Emilia-Romagna sabato 23 e domenica 24 marzo all'interno dell'edizione 2024 delle Giornate Fai di Primavera. Un'iniziativa nata per contribuire alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico, facendo conoscere e apprezzare luoghi noti o ancora sconosciuti, monumenti spesso inaccessibili, ambienti curiosi o inediti che narrano la storia del territorio. La manifestazione, arrivata alla trentaduesima edizione, è stata illustrata in conferenza stampa questa mattina a Bologna, nella sede della Regione, dal presidente, Stefano Bonaccini, dalla presidente dell'Assemblea legislativa, Emma Petitti, dall'assessore regionale alla Cultura e Paesaggio, Mauro Felicori, dalla presidente del Fai Emilia-Romagna, Carla Di Francesco, e dalla referente del Fai regionale, Barbara Rossi. Le Giornate Fai di Primavera si confermano uno degli eventi più importanti e significativi per conoscere il patrimonio culturale e paesaggistico italiano. Un'esclusiva opportunità di scoprire un'Italia meno nota, dalle grandi città ai borghi che raccontano una cultura millenaria, ricchissima e multiforme del Paese. "Per due giorni tutti i cittadini saranno coinvolti in questa grande festa della bellezza che il Fai ci aiuta a scoprire o riscoprire in tanti luoghi dell'Emilia-Romagna, vicino a casa- affermano Bonaccini e Felicori-. Grazie all'attività dell'associazione, ogni anno possiamo conoscere nuovi aspetti del prezioso patrimonio culturale e paesaggistico che ci circonda, imparando a rispettarlo e a diffonderne il valore. Il lavoro del Fai e dei suoi tanti volontari, tra cui molti giovanissimi, che ringraziamo, non solo sensibilizza ognuno di noi, ma spesso stimola le stesse istituzioni e le sostiene nella conservazione e nel salvataggio di questi luoghi straordinari. Un'opera di educazione civica collettiva che fa bene alla comunità e al futuro delle giovani generazioni". "Noti o meno noti, tradizionali o contemporanei, nell'insieme compongono un meraviglioso e variegato mosaico di tessere diverse tra loro, fatte di storia e modernità, di colori e di avvenimenti, di archeologia, palazzi e natura, nel quale si snoda il racconto dell'Emilia-Romagna. A ciascuna è affidato il compito di rappresentare muri, terre, acque e persone del proprio ambito territoriale, attraverso la voce dei volontari e dei numerosissimi 'Apprendisti ciceroni', studenti delle scuole superiori che aderiscono alle giornate- spiega Carla Di Francesco, presidente Fai Emilia-Romagna-. A loro e alle Delegazioni e ai gruppi Fai che con immensa passione hanno lavorato per questa festa del patrimonio culturale regionale, ai proprietari pubblici e privati dei luoghi, ai professori e dirigenti scolastici va il nostro ringraziamento più sentito". Quest'anno sarà possibile visitare anche la torre di viale Aldo Moro 50, a Bologna, che ospita la sede dell'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna. I visitatori saranno condotti alla scoperta degli spazi più significativi della vita politica della Regione, compresa l'Aula consiliare, progettata da Marco Zanuso, e la collezione di arte contemporanea della Regione Emilia-Romagna. Esternamente alla torre, la guida approfondirà anche la storia e lo sviluppo del Fiera District. "Da anni l'Assemblea legislativa ospita mostre ed è diventata un punto di riferimento per gli artisti, con l'obiettivo di non essere solo un luogo istituzionale, ma uno spazio culturale comune, di appartenenza pubblica, di arricchimento per sé e per tutti i visitatori che vorranno condividere con noi tempo e piacere di conoscere- commenta la presidente dell'Assemblea legislativa, Emma Petitti-. Siamo quindi lieti che quest'anno vengano aperte le porte dell'Assemblea legislativa in occasione delle Giornate Fai: è per noi motivo di grande soddisfazione e ci spinge a continuare a lavorare all'insegna dell'arte e della bellezza". L'evento si svolge con il Patrocinio del Dipartimento della Protezione Civile, del Ministero della Cultura, della Regione Emilia-Romagna. In tutta Italia sono 750 i luoghi in 400 città che saranno visitabili a contributo libero, grazie ai volontari di 350 delegazioni e Gruppi Fai attivi in tutte le regioni. Maggiori informazioni sul sito: www.giornatefai.it A questo link l'elenco completo con le descrizioni dei siti e le modalità di visita in Emilia-Romagna.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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uds · 5 years ago
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il mostro
(sistemando vecchi indrizzi mail -non fatelo, mai- ho trovato un racconto breve di una decina di anni fa che avevo completamente rimosso dalla mia memoria credo dai tempi in cui ancora il non plus ultra della comunicazione sociale era msn messenger, non so neanche se lo avessi mai messo qua o da altre parti in precedenza; comunque sia, lo incollo qua sotto)
Guidare annoiati è come essere all’inferno, con la differenza che se non altro all’inferno non devi stare attento alla strada.
Non sono mai riuscito ad ascoltare dischi interi in auto, già dopo tre o quattro canzoni di fila perdo la pazienza e comincio a rovistare nel cruscotto per scegliere il prossimo cd masterizzato da maledire venti minuti dopo. Ho bisogno di parole, discorsi, chiacchiere per non impazzire, specie quando mancano ancora centosettanta chilometri ed entrambe le corsie sono bloccate dalla geniale idea del camionista che fa gli ottantasette all’ora di superare quello che si tiene, più prudentemente, sugli ottantasei. Il problema è che sembra che questo venerdì pomeriggio tutto l’etere si sia messo d’accordo per trasmettere soltanto irritazione, e quando la punta del tuo indice diventa un calco del pulsante per mandare avanti la frequenza capisci che forse è ora di spegnere tutto e lasciare che a non farti pensare sia il fischio di sottofondo del motore lasciato andare a troppi giri.
L’asfalto scivola sotto la carrozzeria a centoventi all’ora, per poi esser sputato fuori dallo specchietto retrovisore. Ancora un’ora e un quarto buona di strada. Quella storia che a volte ti penti di non aver mai iniziato a fumare giusto perché almeno avresti qualcosa da fare in momenti come questo.
“Tutto bene, no?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla A4, tentando la conversazione come misura estrema prima di arrendermi al tramonto sulla Pianura Padana. A passare troppo tempo in mezzo a un paesaggio del genere cominci a credere che al centro del Sistema Solare non ci sia una stella, ma che tutto giri intorno ad una complicata costellazione di capannoni. E troppo tempo è stato più o meno tre uscite fa.
Il mostro mi guarda con la sua solita faccia beata dal sedile del passeggero, senza confermare né smentire. Sta lì, come al solito. Lascia penzolare le gambette sopra il tappetino e si gode il viaggio con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate nella sua posa pigramente soddisfatta.
Sospiro, dichiarando ufficialmente la mia resa alla noia grigioverde che assedia i finestrini. “Metti almeno la cintura.”
Non si muove di un millimetro, nemmeno per annuire. Non avendo il collo, è qualcosa che gli si può perdonare, suppongo. Rimane lì a fissarmi nel suo colore radioattivo da fumetto, le mani appoggiate sull’addome, le dita incrociate.
Non che mi aspettassi davvero una risposta, sia chiaro. Non sono pazzo. Beh, non attualmente. Magari il giorno in cui inizierà a rispondere sarà il caso di farsi qualche domanda, ma al momento posso dirmi sufficientemente sicuro che non sia nulla più di un semplice gioco tra me e me o, se preferite il finto gergo da psicanalista dei telefilm, un costrutto della mia mente. Un costrutto neanche troppo originale, a dire il vero, dato che è praticamente Slimer, quello dei vecchi cartoni dei Ghostbusters, con in più un paio di gambette rachitiche. Quella storia che la televisione ha distrutto la fantasia alla mia generazione.
Non ha nemmeno un nome (o, meglio, non ha un nome pronunciabile nella nostra lingua, dato che arriva da un’altra dimensione)(sì, sto scherzando). Semplicemente, c’è sempre stato, sin da quando ero bambino. A nove anni non riuscivo a dormire per paura di un compito in classe, lui rimaneva imbambolato a fissarmi dalla sedia dove mia madre mi preparava i vestiti per il giorno dopo. A diciotto, con l’orale della maturità a tre giorni di distanza, continuavo a rileggere la stessa frase un migliaio di volte dimenticandola ancora prima di arrivare al punto, e lui era appollaiato sulla scrivania che ondeggiava leggermente al ritmo dei miei vaffanculo. Durante la tesi ha praticamente vissuto sulla tastiera del mio computer, e non era facile spiegare ai miei che, se non ero riuscito a scrivere nemmeno una riga in sei ore, era perché c’era una creatura inesistente che si rifiutava di togliersi dai tasti.
(Scrivevo un messaggio per dirle buonanotte, ti amo, lei rispondeva soltanto notte e lui era dietro la mia spalla destra per avere una visuale ottimale del display del cellulare. Che già era un casino giocare decentemente a Snake 2 con qualcuno che mi guardava, figuriamoci accettare che stava andando tutto a puttane.)
È tutta una questione di che parte del tuo corpo è stata scelta dal destino per somatizzare e tormentarti, almeno fino al momento in cui gli acciacchi si distribuiranno uniformemente in tutto il tuo organismo e sarai pronto per essere uno di quegli anziani che rendono le giornate in sala d’attesa dal dottore la cosa più prossima all’infinito che un essere umano possa sperimentare in questa vita. C’è chi l’ansia, la preoccupazione, quel senso di totale e completo oh, cazzo li sente nello stomaco, chi nelle meningi, chi nell’intestino, chi nei nervi.
Io me li sento nell’immaginazione. Un metro e qualcosa di bozzi, sorriso e rotoli di ciccia alieni. A volte mi chiedo perché qualcosa del genere mi succeda solo con le cose brutte, perché non possa avere una presenza costante che mi segnali che stanno per arrivare momenti migliori. Quella storia che uno è destinato a venir su pessimista.
Ancora adesso, quando ho una presentazione importante il giorno dopo è a lato dello schermo del portatile che si gode le mie bestemmie a Power Point. Se esco di casa in ritardo lo trovo già steso sul corrimano delle scale per non perdersi il probabile spettacolo di me che inciampo e finisco a rotolare per due o tre rampe.
E ora è qui, accanto a me, perché sa benissimo che domani
Eh.
Poi c’è il casello, poi ci sono solo provinciali, comunali, vialetto, saluti.
A cena mio padre risolve l’indovinello finale del programma di rai uno, e quello più o meno è il momento più eccitante di tutta la faccenda. Mi fanno le solite domande su come sta andando, stando bene attenti a non scendere troppo nei dettagli. Confeziono le risposte con cura per non creare nessun tipo di preoccupazione, e li osservo mentre le assorbono con un certo sollievo e un cucchiaio di piselli in più, lieti di poter passare ad altro. Essere cresciuto in una famiglia in cui la comunicazione interpersonale è considerata un disagevole equivoco rappresenta un vantaggio non indifferente, a volte.
Dico ai miei che no, non credo di uscire. Sono stanco per il viaggio, vado a letto presto che tanto vedo tutti domani. Uno, due, tre sms per ripeterlo agli altri, rimbalzare le insistenze. Sì, sono sicuro. Grazie lo stesso, davvero. Ciao.
Il mostro si guarda intorno sul letto, seduto sopra il pigiama ben piegato che mi aspetta sul cuscino. Erano mesi che non vedeva camera mia, e ora rotea gli occhietti su ogni angolo, superficie e poster di questi dieci metri quadri scarsi, come quando vai a votare alle tue vecchie scuole elementari e cerchi di raccattare i ricordi di quei tempi da ogni piastrella.
“Bravo. Se te gà da ‘fondar, se no altro che sia dentro l’oceano.” Era successo che ci eravamo lasciati. Non l’avevo presa bene. Non l’avevo presa in nessuna maniera, in realtà. Avevo smesso di voler pensare e la soluzione più immediata era stata concentrarmi sugli ultimi esami che mi mancavano prima della  laurea. Credo che per qualche mese studiare sia l’unica cosa che abbia fatto con regolarità maniacale, al contrario di altre attività secondarie come l’uscire con gli amici, il radermi, il lavarmi o, non so, il parlare. Avevo scoperto che, da un certo numero di pagine al giorno in poi, le formule diventano una specie di mantra che ti occupa la testa durante il giorno e ti stanca quel che ti basta per affrontare la notte. Arriva un certo punto in cui addirittura credi di averla superata.
La prima volta che l’avevo rivista avevo finto di dover telefonare ed ero tornato a casa a vomitare anche l’anima, col mostro che lasciava penzolare le gambe a cavallo del bidet. Quella storia che a pensare positivo sei sempre due passi indietro rispetto a dove credevi di essere.
Dopo un paio di colloqui in cui avevo simulato con successo una certa voglia di responsabilità, mi avevano offerto un lavoro a Milano. Sette provincie e tre ore e mezza di auto più in là. Sembrava una buona idea. Quando l’avevo detto a mia nonna lei mi aveva abbracciato e risposto così, nel nostro dialetto fatto apposta per odorare di terra e parlare di sbagli.
Bravo. Se devi affondare, se non altro che sia dentro l’oceano.
Convinta di aver un nipote ambizioso, deciso a farsi un nome in una città grande duecento volte la nostra. O, forse, abbastanza esperta di mostri per avere il buon cuore di fingere che fosse così.
(Il sonno che non arriva fino alle quattro. Alzarsi con il mal di testa, mia madre che mi porta un succo alla pesca per colazione, con la cannuccia infilata già dentro, come non fossero passati più di vent’anni. Vestirsi e sentire la giacca tirare sotto le braccia, a livello dell’anima.)
“Mi spiace che tu non sia riuscito a venire all’addio al celibato”, mi dice Marco stringendo leggermente la mano sulla mia spalla sinistra. “Anche a me, gli altri mi hanno raccontato come è andata e mi sono mangiato le mani. È che al lavoro in questo periodo è un casino, è già tanto se son riuscito a prendermi questi due giorni”, mento. Prova a chiedermi qualcos’altro, ma viene afferrato per il gomito dal testimone e portato in chiesa perché, senza nemmeno qualche tradizionale minuto di ritardo, sta arrivando la sposa. Resto fermo sul sagrato, superato da amici e conoscenti che mi lanciano domande e bonari rimproveri in serie, come una catena di montaggio di convenzioni sociali che è inevitabile attraversare quando è un sacco che non ti fai sentire, è un sacco che non ti fai vedere, è un sacco che non ti trovo su Facebook. Lavoro. Impegni. Scuse improvvisate che migliorano e si arricchiscono di dettagli ad ogni nuovo giro. Ancora, e ancora. Finché, finalmente, arriva l’auto della sposa, che lascia scendere con una certa fatica un abito ingombrante dentro al quale si muove solenne un fascio di sorrisi tirati, lacca e trucco attraverso il quale riconosco Anna. La portiera si richiude svariati secondi dopo, lasciando srotolare con calma i commenti delle invitate e lo strascico bianco. Applausi mentre attraversa il sagrato, i tacchi che sopravvivono con qualche difficoltà ai cubetti di porfido. Qualcuno con l’occhio già lucido. Luca che progetta una maniera per saltare la celebrazione, cercando in giro un bar adatto e gli invitati giusti a cui scroccare minuti e sigarette. Sto per seguire la massa attraverso il portone quando vedo il mostro alla fine dello strascico, che si lascia trascinare come fosse Trinità. Non ho bisogno di chiedermi perché sia lì. Alzo lo sguardo sopra la sua espressione ridicolmente beota e la vedo in coda tra gli invitati, parlare con un’amica mentre scende gli scalini del duomo, ridere. Sembra felice. Sembra lei. Nonostante la capigliatura troppo elaborata, tutto quel trucco di cui non avrebbe bisogno, un vestito che è un incarto di caramella che le lascia libere le spalle. Quelle spalle. Quel neo. Non sono pronto. Cazzo, non sono pronto.
Corro dietro a Luca, che mi circonda le spalle con il suo braccio destro mentre acceleriamo il passo verso il bar. Magari entro a cerimonia già iniziata, ecco.
(Essere seduti a tavoli diversi, finire occhi negli occhi per qualche secondo di imbarazzo infinito. Alzare una mano, provare un’espressione gentile ma riuscire solo in una smorfia poco convinta, per nulla efficace. Non aver pensato a cosa dirle, non aver pensato a cosa potrebbe volermi dire lei. Non volerci pensare tutt’ora. Qualcuno che si azzarda a chiedermi se l’ho più sentita, se sto bene, se mi vedo con qualcuna e un altro miliardo di se che dribblo come posso. Mai stato un gran calciatore. Andare a salutare qualcuno al suo tavolo e far finta di niente. Girare lo sguardo un attimo troppo tardi quando si alza e attraversa il mio campo visivo. Capire che se n’è accorta. Guardare l’orologio. Controllare il cellulare ogni sei minuti netti, pregando in una telefonata di lavoro il sabato pomeriggio.)
Il mostro si gode beato antipasti, primi e secondi gentilmente offerti dal mio sistema nervoso.
Nel giardino sul retro del ristorante ci sono due altalene e più suv di quanto la media nazionale potrebbe far pensare. Mi siedo sulla tavoletta di plastica nera e ondeggio leggermente, la fronte imperlata di sudore appoggiata a una delle due catenelle di sostegno, a elemosinare quel po’ di frescura che pochi centimetri di metallo possono regalare. Dentro c’è troppo movimento, troppo alcol, troppo casino, e i principi della termodinamica non perdonano. Sotto i portici, lontano da me, invitati che chiacchierano, fumano, si scattano fotografie. Il musicista ben pagato per intrattenere gli invitati si prende una pausa davanti alla fontana all’ingresso. Tra poco qualcuno comincerà a ringraziare gli sposi, rassicurandoli sul fatto che è stato tutto perfetto, e si avvierà verso casa a smaltire la giornata. Sull’altalena accanto il mostro si gode la brezza e le poche stelle che le luci dei lampioni ci concedono. Chissà da quanto era qui fuori ad aspettarmi. Alzo la mano verso di lui, reggendo un bicchiere immaginario, e propongo un brindisi. “A noi due, vecchio. Ce l’abbiamo quasi fatta anche stasera.”
“Parli da solo, ora?”
La voce le esce meno sicura e sarcastica di quanto vorrebbe, la conosco ancora troppo bene per non accorgermene, ma il cuore salta un battito lo stesso. Il fatto che io non riesca a pensare a una risposta più intelligente di “ciao” conferma, come se ce ne fosse bisogno, chi sarà sempre nella posizione di vantaggio tra noi due.
Si avvicina senza fretta. Una ciocca di capelli fuori posto che le balla davanti a ogni piccolo movimento del capo, accarezzandole le labbra. Quelle labbra. Neanche tutto il rossetto del mondo potrebbe renderle diverse da quelle che ho imparato a memoria. Un altro passo ed è a cinque metri. I nostri sedici anni. Ancora un passo e siamo ai diciassette, al nostro primo bacio. Avanti veloce, correre attraverso i ricordi dei diciotto, diciannove, venti fino a rallentare all’altezza dei ventitré, ventiquattro, venticinque. La scarpa destra che affonda leggermente nell’erba ben tosata. Fermarsi con una pugnalata in mezzo al petto ai ventisei. Le nostre domeniche pomeriggio. Le nostre voci sotto le coperte. I nostri progetti, Cristo santo. I sabati sera promessi agli altri e poi tenuti solo per noi. Scegliere i nomi da dare ai figli che avremmo avuto, un giorno. Il suo basta. Fingere che fosse anche il mio basta. L’ultimo passo. Non riuscire ancora a far passare dell’aria sensata tra le corde vocali.
Ora è a portata di far male, e ancora non so dove vuole arrivare. Ci sono i suoi occhi e c’è tutto il resto che un po’ alla volta diventa soltanto una macchia sfocata. Giardino. Auto. Invitati. Voci. Il mostro le cede l’altalena al mio fianco -vai a fidarti degli amici- e si allontana tranquillo verso la confusione. Alla fine allora riesce a camminarci, su quelle gambe. Lei si sistema per quella che sembra una vita intera. Inspira profondamente e chiude gli occhi, poi lascia andare in un colpo solo l’aria e mi guarda in un modo che ho paura di riconoscere. Non sorride, ma la conosco troppo bene per non sapere che sta morendo dalla voglia di farlo.
Perfino i grilli adesso rimangono in silenzio. Siamo solo io, lei e tutto l’oceano di ricordi, scazzi, convinzioni fatte a pezzi e foto scattate mille volte per esser sicuri che vengano bene che c’è stato tra di noi.    
Se dobbiamo affondare, se non altro.
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latinabiz · 4 years ago
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Tornano le aperture Fai di Primavera
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Logo Con la recente riapertura dei luoghi della cultura tornano le Giornate FAI di Primavera, un’occasione imperdibile per godere di tantissimi luoghi in Italia tra castelli, chiese, monumenti, giardini, parchi, aree archeologiche e musei non sempre accessibili al pubblico.  Sono ben 600 luoghi in 300 città italiane che apriranno le loro porte ai visitatori nelle giornate di sabato 15 e domenica 16 maggio nel pieno rispetto delle norme anti COVID-19.  Un modo per conoscere luoghi che magari abbiamo spesso sotto gli occhi ma non abbiamo mai pensato di visitare. Ingressi e visite guidate a prezzo contenuto grazie alla collaborazione dei FAI Fondo Ambiente Italiano con gli apprendisti Ciceroni FAI: ovvero studenti delle scuole che diventano guide provette per un giorno, accompagnando i visitatori alla scoperta di luoghi pieni di storia, arte, natura.  Il contributo minimo richiesto per partecipare contribuisce alle varie attività del FAI a tutela e promozione del patrimonio artistico, naturale e storico italiano.  Diverse sono le località del Lazio che sabato 15 e domenica 16 maggio si potranno visitare, per conoscere le modalità di prenotazione e accesso è possibile consultare il sito del FAI e cercare i luoghi che hanno aderito alla manifestazione.Ecco quello che scrive il Fai: “In base alle nuove disposizioni governative, le aperture previste per le Giornate FAI di Primavera nelle regioni Sicilia, Sardegna e Val d’Aosta sono rimandate a data da destinarsi. Ringraziamo la Rete territoriale di queste regioni per il grandissimo impegno e per avere tenuta viva la speranza fino all’ultimo: non appena si potrà, torneremo a far scoprire segreti e meraviglie anche in queste regioni d’Italia con i prossimi appuntamenti del FAI. Continua a seguirci! In tutto il resto d’Italia che sarà zona gialla durante il weekend del 15 e 16 maggio, sono aperte le prenotazioni. Affrettati! In particolare, apriamo le prenotazioni finora chiuse anche in Basilicata, Puglia e Calabria. Prenota la tua visita su www.giornatefai.it” Read the full article
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